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01 December 2012

il Commond Ground è CAOS: panoramica e bilancio di Biennale Architettura 2012 - testo e foto di Enrico Mercatali


 Biennale Architettura 2012 
 panoramica e bilancio


 il "Common Ground" è Caos



Sopra al titolo:  una ragazza sfoglia una raccolta di annate rilegate della rivista Casabella 
Sotto  al  titolo:  immagine dell'ingresso al Padiglione Italia intitolato al Common Ground




Nonostante che il creatore della Mostra di quest'anno sia un  irriducibile, e per taluni perfino pericoloso "estremista", assertore dell'ordine ad oltranza, nonchè convinto modernista, David Chipperfield, inventore anche del "diversamente funzionale" titolo "Common Ground" (terreno comune), e sostenitore della tesi che occorrano oggi comuni livelli di riferimento (se non addirittura di linguaggi) per procedere a sicuro buon fine nelle attività progettuali dell'architettura, il bilancio che ne possiamo trarre alla conclusione della sua visita, a pochi giorni dalla chiusura, è:

!!!  C A O S  !!!
........


Un pozzo veneziano, uno delle centinaia che presenziano nei campi e campielli di Venezia, designando un sito d'incontro, un luogo di scambio, un cardine della vita sociale della Repubblica Serenissima, ove si raccoglieva l'acqua potabile e dove si "ciacoava", magari di gossip. L'autore della mostra ne ha colto l'essenza simbolica di "common ground", un punto di forza inalienabile e sostanziale, qualcosa d'analoga simbologia e di egual forza che oggi manca.


La Mostra si articola in diversi piani, che partono dal suo nocciolo, allestito presso il Padiglione Italia, dove hanno potuto dire la loro i numerosi progettisti invitati ed i relativi teams, nei padiglioni nazionali che hanno presentato le loro specifiche proposte, e le ulteriori rappresentanze selezionate per le esposizioni all'Arsenale. Ognuno, in essi, ha espresso il proprio parere o proposta relativamente alla tesi della direzione. Common Ground voleva vagheggiare un principio ordinatore capace di dare fondamento alla disciplina del progettare, e del costruire. Esso voleva porsi come suggerimento, ma anche come cardine risolutore, quanto meno come proposta di discussione per cercare riferimenti condivisi, forse. 



Tra gli invitati qualcuno si è chiesto cosa dovesse intendersi per Common Ground, dandosi alcune risposte, e proponendole anche al pubblico: "l'architettura non dipende dalle condizioni del design, ma è design delle condizioni", oppure: "l'architettura non è soltanto ciò che sembra, ma è ciò che fà". "E' l'idea, non la forma, ciò che distingue l'architettura dal mero costruire", e così: "Figura/pianta - l'architettura non è tanto la conoscenza della forma, ma una forma di conoscenza".




Norman Foster propone alcune impressionanti gigantografie a colori degli interni dell'edificio della Bank of Tokyo, in un momento di totale svuotamento di pubblico, riprese con la massima definizione del dettaglio. Le foto sono splendide e danno davvero una idea dell'ampiezza della sala principale interna dell'edificio. Sembra di udire perfino l'assoluto silenzio che in essa vi domina. Ma una seconda foto mostra quanto accade, in contemporanea, nella sala sottostante alle grandi vetrate orizzontali, popolata da festanti e rumorose genti di colore, attente ai loro commerci,  cui vengono affittati gli spazi quando quelli della banca sono chiusi al pubblico. Una sensazione di profondo disagio pervade il visitatore nell'assistere a comportamenti umani tanto dissonanti con la vita propria di un edificio dalla personalità tanto spiccata, quanto capace d'essere forse "terreno comune"per così opposti usi.


Ma il risultato è davvero sorprendente: ad oggi ampiamente commentato da giornali e riviste specializzate nonchè da tutta la critica nazionale ed internazionale e dalla rete,  esso è stato quanto di più vago e dissonante, eterogeneo e dispersivo mai forse prima d'ora si fosse visto alla Biennale veneziana in tanti anni, in decenni perfino. Roba da fare invidia a quelle edizioni nelle quali questo effetto era ricercato ed auspicato, quali quelle di una decina di anni fa che si fregiavano di mostrare più le differenze che le uniformità, o ancor più quella che ancor oggi tutti ricordiamo, d'una trentina d'anni fa, nella cui Strada Novissima, secondo il suo direttore Paolo Portoghesi, poteva apparire di tutto fuorchè una Regola, particolarmente quando questa fosse espressione di Modernità. Oggi Caos è dire poco, proprio quando, vi si voleva far emergere, sia pure tra le pieghe, magari solo come vago cenno (troppa umiltà e certo anche troppo fair play, caro direttore), il suo contrario, e quando la specifica selezione degli invitati pareva voler esprimere una tendenza. 





Componenti di spiccato neopalladianesimo, producendosi in eservizi di variazione piranesiana, si alternano con la massima disinvoltura, e senza filtri di catalogazione o di semplice distinguo, a pratiche di analitico, e quasi scientifico, organicismo, così mostrando, non tanto nel convincimento di ciscun progettista invitato quanto nel reale svolgersi del confronto tra invitato ed invitato, non già l'idea dell'esistenza di un possibile terreno comune di lavoro, quanto che di comune si possa vivere unendo i soli estremi, così smentendo, della tesi generale, non già il fatto che esista sempre un nesso tra le cose, e perciò una comune possibile via d'accesso alla loro interpretazione, ma che possa esistere in esse il senso stesso del possibile.
Dal reazionario anelito classicista di Hans Kollhoff alle catalogazioni ossessivamente moltiplicate del metodo piranesiano sull'architettura postrazionalista nello stile dei Five  Architects, operata dalle equipes di Peter Eisenmann, fino alle sperimentazioni iperorganiciste dei sistemi voltati della Hadid ed ai contorcimenti pseudo-post-costruttivisti dell'ottimo architetto Steven Holl. Ad ogni firma una sala, in una successione di stimoli che servono forse per essere scelti ed utilizzati come fossimo all'epoca dell'Enciclopedie. Tutto il sapere in uno scaffale. Disorientamento sicuro, e, soprattutto... assenza di common ground, negazione esplicita, ad opera delle archistar, d'una volontà di scendere dal piedistallo della notorietà per sentire cosa hanno da dire le nuove generazioni e i loro cattivi maestri, e magari capire tutti assieme che il mondo chiede una diversa architettura, nata dalla ricerca nei bisogni piuttosto che nelle esigenze del marketing...



Caos come tutto e il contrario di tutto, anche se un peso tutto particolare è stato dato nella mostra, nell'epoca della rete, alla carta stampata delle riviste specializzate, nelle belle e grandi sale dedicate alla raccolte storiche di Casabella e Domus consultabili in diretta, e sugli originali, come segno di quanto oggi pesino, sul common ground che diventa modus operandi, le linee imposte dalle testate.



L'Ateliers Jean Nouvel presenta, con Mia Hagg, uno degli ultimi progetti: quello che a Stoccolma vorrebbe vedere unite da una fitta rete di relazioni d'ogni tipo e grado l'isola del  centro storico di Gamla Stan con l'isola di Sodermalm. Il progetto è stimolante ma troppo innovativo per essere approvato dalla Municipalità che ne aprì il concorso. Cosa l'autore volesse dire a proposito del quesito di Chipperfield, presentando questo suo progetto, non è dato neppure di intuire: forse qui la totale dissociazione tra il concept e le tradizioni della comunità cittadina si eleva a metodo, o la eccessiva innovatività delle sue proposte forme... chissà!



Di due sculture lignee, una maquette dell'altra, dall'enigmatica forma e dall'ancor più incomprensibile funzione, ci interroghiamo in Arsenale. Belle comunque da vedere perchè frutto d'una rigorosa concezione che unisce il dettaglio alla figura complessiva. Che il rigore, di qualunque specie esso sia, possa alimentare terreni comuni, od essere esso steso terreno comune? Dato il dilagare dell'arbitrio, forse si. Ma è questa pura scolastica, improponibile in sè per rispondere alla Grande Tesi.




La forma quando è nuova è pur sempre elemento di validi approcci per l'architettura. Ne è un esempio, quanto a Grattacieli, la Shard di RPBW, qui riprodotta in legno di faggio e visibile in numerosi disegni di essa, appesi alle pareti, che ne mostrano l'unicità entro il panorama urbano londinese. La tipologia del grattacielo di "forma" ne ha certo bisogno, oggi più che mai, essendo il "miesiano parallelepipedo" uscito dagli occhi di chiunque. Non è un caso che la Shard appare vincente sugli altri contemporanei fratelli e sorelle, che, da quando inaugurata, sui media appare più degli altri. Anche Taccuini Internazionali vi ha dedicato un articolo: http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/10/about-scyscrapers.html
http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/08/del-grattacielo-di-enrico-mercatali.html



Molta carta e molto legno quest'anno in Biennale Architettura dicono qualcosa dell'esigenza di risparmiare ed essere ecologici: dal padiglione scandinavo a quello giapponese, per non parlare di molto modellismi all'Arsenale tra cui giganteggia l'oggetto di Peter Zumthor, tutto sembra richiedere legno, materiale ancostrale e simbolico, purtutavia imputato di grandi danni all'ecosistema per via delle ingenti deforestazioni sudamericane. Uno sguardo questo forse a future virtuosità che facciano recedere dall'uso di materiale oggi più costosi quali l'aciaio ed il cemento armato. E del vetro cosa dire? Non abbiamo trovato soverchi riscontri su tale tema nella mostra. Eppure a noi sembra essere una emergenza dell'architettura di oggi, quella dell'eccesivo utilizzo del vetro: non vi è metropoli oggi che non consacri al tutto-vetro il suo skyline e l'anomia delle sue gigantesche volumetrie edilizie. Qualcosa forse andava detto, a tal proposito, dato che, all'incontrario della tesi in mostra, il vetro oggi rappresenta, negativamente, un common ground.



Molte maquette in mostra, molti progetti, e poche realizzazioni, alla valutazione del pubblico. Ovviamente allo scarso interesse per i modelli corrisponde un maggiore interesse per quanto realizzato, ma la mostra da davvero poca soddisfazione a chi vi cerca esempi di realtà realizzata, e, tanto meno, a chi di questa, vi cerchi confronti, analisi, valutazioni. I modelli sono talmente tanti che ne è stata esposta, in una sala, perfino una grande teca, fatta di scaffali pieni di modelli accatastati uno sull'altro, alcuni recenti ed altri di edifici del passato. Tutto ciò denota che l'attività progettuale è tanta, è stata tanta, e probabilmente tanta continuerà ad essere in futuro. Spreco di ore-lavoro, speco di cervelli, dato che quasi tutto questo materale è finalizzato alle lauree, e, finite quelle, al macero.




il Giappone e Toyo Ito



Michelangelo Pistoletto, artista dedito a promuovere istallazioni d'Arte Povera, che dagli specchi specchianti è passato agli specchi spezzati, dedica ora in Biennale un'Italia divenuta prigioniera della spazzatura. La sua opera, esposta in Arsenale e qui riprodotta di notte, è assai più elegante di quanto la realtà non ci mostri. E' questa allora un'opera di denuncia? Ma se essa ci dice che nel nostro Paese la spazzatura nelle strade è common ground, allora essa è un altro esempio negativo di cosa il terreno comune ci dice. Dov'e sta quel terreno comune che Chipperfield vorrebbe virtuosamente indicare?
Forse solo nel Caos! Ovvero nel fallimento della sua mostra.



La Library della Biennale e le sale dedicate a Casabella e Domus, ove la consultazione poteva avvenire direttamente da parte del pubblico sui suoi preziosi originali disposti in ordine cronologico, ci rendono nostalgici circa gli strumenti tradizionali di conoscenza ed anche dei lontani periodi in essi archiviati. Esse ci fanno considerare che la grande espansione informativa nella quale ora viviamo, oltre agli indubbi benefici che dà,  complica assai la ricerca di un common ground, e lo rende quasi impossibile, nonostante che il mondo sia oggi più piccolo, anzi così piccolo che è a portata di tutti nella rete che di tutto di esso ci informa. Se negli anni '50 e '60 la presenza delle due famose testate italiane e internazionali fondava essa stessa un terreno comune, oggi tutto ciò non è più vero, e la globalizzazione, pur avvicinando i popoli, nega, almeno per ora, l'esistenza possibile di risposte comuni ai bisogni comuni, ed ancora tutto, e più ancora, diventa fiera di infiniti neutri cataloghi.

Enrico Mercatali
Venezia Biennale Architettura, novembre 2012

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