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10 November 2012

FACECITY - Venezia Biennale Architettura XIII edizione - Padiglione Italia




Biennale Architettura
XIII edizione
Padiglione Italia
 
" F A C E C I T Y "





I volti di Milano
espressioni dai suoi più grandi maestri dell'architettura




Sopra al titolo Ignazio Gardella. Qui sopra Mangiarotti e Morassutti


Una interessante mostra apre Il Padiglione Italia alla Biennale Architettura, inaugurata ieri a Venezia Giardini: Facecity, che riprende, raccoglie e organizza un escursus visivo quasi come fosse una partitura musicale, costituito dalle facciate delle case sue più famose, ovvero quelle che hanno dato l'imprinting al suo volto migliore, quello dell'epoca d'oro della sua crescita moderna, quello realizzato dai suoi migliori figli architetti tra gli anni 50 e 60. L'identità della metropoli odierna è stata determinata prevalentemente da questa facciate piane, oppure appena rese plastiche dai suoi lievi aggetti e dalle sue appena accennate sporgenze, create da architetti quali, Asnago e Vender, Figini e Pollini, Vito Latis, Gio Ponti, Caccia Dominioni, Vico Magistretti, Ignazio Gardella, Mangiarotti e Morassuti, ecc.

Essi avevano molto in comune, pur marcando tra loro le piccole differenze che ne determinavano lo stile, e che certamente ne rendevano riconoscibili le firme. Questo loro lato in comune è ciò che crea l'interesse odierno del curatore della mostra al Padiglione Italia, Luca Zevi (figlio di Bruno Zevi, noto storico dell'architettura moderna), che, dell'impostazione generale "Common Ground" di questa XIII edizione di Biennale Architettura voluta da David Chipperfield, ne ha voluto assecondare l'assunto.



Dall'alto: Asnago e Venier, Figini e Pollini, Vito Latis e due differenti Gio Ponti


L'interesse odierno per tale tema, che approfondisca i terreni comuni dell'architettura piuttosto che le singole specificità,  è da molti riconosciuto come essenziale oggi, dopo l'ubriacatura postmoderna,  durata quarant'anni, e questa mostra, pur concentrata sul terreno specifico della metropoli lombarda, ne descrive con molta precisione il vocabolario, e ne studia con passione i caratteri del linguaggio., con i suoi racconti e le sue infinite varianti. Oltre a ciò la mostra entra nel vivo della questione del senso, e della fondatezza che le regole, spontaneamente adottate in quella fase storica da tutti i suoi protagonisti, hanno nella costruzione del volto più autentico della città, attraverso il dialogo con i suoi cittedini, che in essa, per questo, vi si identificano con naturalezza e produttiva condivisione.




Dall'alto: Vito Latis, Mangiarotti e Morassutti, Gio Ponti, Caccia Dominioni, Gio Ponti, Ignazio Gardella, Caccia Dominioni, Asnago e Vender, Caccia Dominioni




L'autore di questa mostra è il fotografo Pino Musi, il quale ha raccolto le immagini frontali di tutte le architetture che a suo dire sono le più significative del dialogo avvenuto in città tra i suoi più begli e significativi edifici del moderno, e successivamente organizzato in modo da renderlo corale, nelle specifità e nelle diversità di ciascuno, nell'assieme che lo rende speciale e forse unico.







Tale unicità corale, che taluni già vorrebbero descrivere come una sorta di "milanesità", e che fa della città di Milano un caso a sè che, pur nella sua inesprimibile bellezza, riesce a trovare il suo stile, è esattamente ciò che il "common ground" vorrebbe esplorare, per comprenderne l'utilità nella costruzione del processo identitario della comunità dei suoi abitanti.






Dall'alto: Ignazio Gardella, Vico Magistretti, Gio Ponti, tre differenti Asnago e Vender, Ignazio Gardella


Mentre siamo sul tema, approfittiamo dell'occasione per considerare quanto diverse appaiano tra loro due pubblicazioni sull'architettura milanese, lontanissime tra loro nel tempo e nello spazio,  giusto per comprendere quanto diverso sia lo spirito del tempo, e quanto necessario sia, a nostro modo di vedere, un ripensamento nei termini del "Common Groud", che è il tema della mostra veneziana di quest'anno9. Delle due citate pubblicazioni, la prima, è quella curata da Piero Bottoni, "Edifici Moderni in Milano, nel 1954, per l'editoriale Domus, e l'altra, uscita in questi giorni,  è :"Milano - Le nuove architetture" curata da Maria Vittoria Capitanucci per Skira.




Nella prima, emerge già un "common ground" ante litteram, assai simile a quanto raccontato da Pino Musi nella mostra veneziana Facecity, emergente nella Milano degli anni 50 e 60; nel secondo vi è pienamente espressa l'immagine del caos visivo dominante nella metropoli consegnataci dalla giunta Moratti, ovvero dal più sciagurato susseguirsi di avvenimenti a livello urbano e territoriale che si sia visto abbattere su una citta italiana da quando si è avviata l'epoca moderna. In questo periodo hanno fatto da padroni gli immobiliaristi speculatori e le loro avanguardie politiche. Milano in questo scorcio di due decenni ha totalmente perduto la sua identità, mostrando il peggio di come si possa fare per rendere inabitabile il proprio territorio.




Ben venga quindi un "Common Ground"
(Nota: non tutte le immagini riprodotte hanno a che fare con gli originali visibili nella mostra veneziana).

Enrico Mercatali
TACCUINI  di   CASABELLA
Venezia, 30 Agosto 2012
(aggiornato il 10 Nov 2012)

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