THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

02 June 2011

Biennale Veneziana - di Enrico Mercatali


Bice Curiger, "Patron" di Biennale Arte 2011



BIENNALE  ARTE
2 0 1 1




ILLUMI - NAZIONI 
(Illuminazioni)  
 



Jacopo Robusti, detto Tintoretto, "La creazione degli animali", Venezia, Galleria dell'Accademia, momentaneamente esposta alla Biennale - Arte 2011
Sopra al titolo: Loris Gréaud, l'opera appoggiata su una delle banchine dell'Arsenale, 
"The Geppetto Pavilion"



Apre oggi i suoi cancelli al pubblico la 54a Esposizione Internazionale d'Arte, la Biennale Veneziana (che rimarrà aperta fino al 27 novembre 2011), della quale si è già fatto un gran parlare da mesi, sin da quando si è saputo che, per la prima volta, sarebbe stata una curatrice, anzichè un curatore, ad averne data l'impostazione, e ad esercitarne tutti quei poteri, oggi assai forti, legati alla creazione e alla gestione della più importante manifestazione artistica del mondo, che impone, e consente al contempo, scelte di indirizzo che avrenno ingenti ripercussioni, oltrechè culturali, anche economiche. Ed una curatrice, colei che ha firmato quest'anno Biennale Arte Venezia, peraltro, con credenziali in tutta regola e più ancora: una vera e propria tuttofare in fatto d'avanguardie, una fucina di frequentazioni importanti, e di idee soprattutto, storica e  critica dell'arte, Bice Curiger, 63 anni, svizzera di Zurigo (in alto nella foto).



 Il pubblico delle anteprime, aperte ai critici e ai giornalisti, osserva la grande tela del Tintoretto "L'ultima cena", proveniente dalla Basilica di San Giorgio Maggiore, lunga quasi 6 metri


A lei è stato affidato il compito arduo che, stando agli approcci dei primi giorni di apertura alla sola critica e ai giornalisti, sembrerebbe assai ben svolto, quello di riunire artisti da tutte le nazioni che partecipano tradizionalmente alla manifestazione, ma quest'anno con nuove partecipazioni, mentre per il solo Padiglione Italia, s'è occupato in piena autonomia Vittorio Sgarbi.

Entrambi i risultati, secondo il nostro giudizio, sono da apprezzare, al di là delle numerose polemiche, specie per le scelte che sono state fatte per la sezione italiana.

Illumi-Nations (Illuminazioni) è il titolo che Bice Curiger ha voluto dare alla kermesse  di quest'anno,  costituita da nuove proposte d'arte di ben 83 artisti provenienti da tutto il mondo, assai più che di quanto non sia accaduto negli anni passati, con un numero di paesi espositori ancor più elevato.
Le illuminazioni sono state una vera "trovata", a quanto ci dice la stessa curatrice, in quanto, utilizzando questo termine, lei stessa ha subìto immediate fascinazioni, tanto vaste, diversificate  e "illuminanti" sono le allusioni cui esso ammicca, non appena lo si confronta con le proposte artistiche, e con le differenti "filosofie" le le sottendono. Esse si riferiscono agli aspetti, anch'essi diversificati e ricchi di senso, che l'uso della luce ha nell'arte, che ne è la sostanza primigenia, specie se vissuta in un ambiente come quello veneziano che così profondamente si nutre di luce, nei suoi riflessi sull'acqua lagunare, nelle sue variabili d'ombra e di penombre, come la sua stessa storia pittorica ci ricorda di continuo. Non è un caso infatti che a Tintoretto la nostra svizzera curatrice ha voluto ispirarsi, al punto d'averne posto in sito, all'ingresso delle mostre, ben tre giganteschi teleri, tra i più famosi e belli, peraltro, dell'artista tardo cinquecentesco forse più conosciuto al mondo.



Jacopo Robusti, detto Tintoretto, "Il trafugamento del corpo di San Marco", 151 x 258 cm, Venezia, Galleria dell'Accademia. Di tele con questo soggetto Tintoretto ne ha eseguite più d'una, una delle quali, forse la più pubblicata, alla Pinacoteca di Brera, Milano

Riguardo ai tre teleri tintorettiani in Biennale, trattasi:  dell’"Ultima Cena" proveniente dalla Basilica di San Giorgio Maggiore, e di altre due opere conservate presso le Gallerie dell’Accademia, il "Trafugamento del corpo di San Marco" e la "Creazione degli animali", concesse in prestito alla Biennale. 
"Questi dipinti di Tintoretto, uno degli artisti più sperimentali nella storia dell’arte italiana, esercitano un fascino particolare per la loro luce estatica, quasi febbrile" – ha dichiarato  la Curiger – "e per il loro approccio temerario alla composizione che capovolge l’ordine classico e definito del Rinascimento. Le opere giocheranno un ruolo di primo piano nella mostra, instaurando un rapporto artistico, storico ed emozionale con il contesto locale". Una sfida da raccogliere?
Perchè le tre grandi tele del Tintoretto? , le si domanda: "Perché chi viene in Biennale, di solito, viene a vedere la Biennale e basta: una bolla di arte contemporanea nella città. Volevo ricordare che, fuori, c'è Venezia". Ricordarlo con la luce del Tintoretto, visto che il titolo della "sua" Biennale è "ILLUMInations"? Lei risponde:  "Si, è vero, ho scelto tre tele del Tintoretto dove la luce ha un ruolo importante. Penso agli angeli immateriali dell'Ultima Cena, solo pennellate di luce, appunto; o al temporale nel "Trafugamento del corpo di San Marco". Ma la mia è anche una provocazione per gli artisti presenti in Biennale, un invito al confronto con il passato».


E poichè l'uso protagonistico della componente luminosa quet'anno ha avuto come sponsor nientemeno che Tintoretto, così ricollegando l'arte tenebrosa, cupa e complessa, terribile e latente, paludosa e non sempre limpida di oggi, che parla dell'oggi come di qualcosa difficilmente decifrabile, a quella di un passato che ci appare assai più fulgido, l'interesse del pubblico sembra essere già captato, che meglio di così, noi crediamo, non si potesse. Bice Curiger ne sembra orgogliosa e consapevole, avendo fatto lei stessa, tra le sue scelte coraggiose e innovative quella più potente in assoluto,  quella d'aver fatto di Tintoretto il nume tutelare dell'iniziativa, "in quanto creatore di "folgori di pensiero", e inventore di una abbagliante "luce febbrile". La luce è molto importante per lei, che è nata e vive in Svizzera;  è la luce di Venezia e dell'Italia, in particolare, che affascina da sempre chi viene da Nord.
 
Tornando al titolo della Biennale, "ILLUMI - nations". Un gioco di parole tra luce e nazioni, le nazioni che partecipano, assai più numerose che in passato, come più numerosi sono gli artisti, una componente under 35 assai elevata ed un foltissimo numero di artiste donne, una trentina. 




"Sogno compassionevole", Jean Fabre. Dopo i laboratori tenuti lo scorso marzo, da mercoledì 1 giugno 2011, in concomitanza con la Biennale, l’artista fiammingo presenta quest'anno in Biennale cinque nuove sculture di grandi dimensioni presso la Nuova Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia.
Tra le opere, sta facendo parlare molto di sé una personale rilettura della Pietà di Michelangelo, che Fabre ha intitolato Sogno compassionevole (Pietà V). Cristo è raffigurato con il volto dell’artista e la Madonna ha quello di un teschio. Si tratta, per lo scultore, di un’opera performativa, in cui sulla scena sono rappresentate le sensazioni di una madre che vuole sostituirsi al figlio morto.
La fruizione delle sculture avverrà attraverso un rituale particolare. Gli spettatori si dovranno togliere le scarpe e, muniti di un paio di pantofole fornite dall’artista, potranno salire sulla pedana-palcoscenico ed immergersi nella visione.

Ritornando alle donne artiste, la curatrice ha tra l'altro scritto un libro su Georgia O'Keeffe e su Méret Oppenheim... «Quella sulla Oppenheim era una biografia. Dice Bice: "Me l'ha chiesto lei: un onore, perché all'epoca avevo trent'anni, e lei, già anziana, era una delle grandi protagoniste del surreausmo. E' stato molto emozionante conoscerla e lavorare con lei: intelligente, ironica, ancora così aperta al mondo. E mi fece un regalo bellissimo, quando il libro usci: un collage che Max Ernst, suo grande amore, aveva creato per lei, dedicato a lei. Regalarmelo è stato un atto di fiducia, un consegnarmi qualcosa di intimo e prezioso, a cui teneva molto». Le chiede poi l'intervistatore: "Se potesse portarsi a casa qualcosa della Biennale, della sua Biennale, che cosa sceglierebbe?" "Forse la balena di Loris Gréaud?" (ride: è un'installazione all'Arsenale, fotografia in alto, sopra al titolo). "Ma no, nel mio appartamento certo non ci entrerebbe. Però a casa ho molte cose degli artisti che ho conosciuto, di cui ho curato mostre: ho sempre comprato qualcosa, dopo, magari qualcosa di piccolo. Sono per me come pagine di diario, cerchi concentrici di una biografia. Non sono una collezionista: non venderei mai niente". Domanda: "Ha anche qualcosa di Méret Oppenheim?" Risposta "Sì, dei disegni. Nel suo testamento, lasciò scritto che potevo scegliere quello che mi piaceva. Un gesto toccante". Domanda: "Lei spera che una persona venga alla Biennale e...  si senta felice".  Risposta: "Felicità? Nell'arte contemporanea non si parla mai di felicità, è una provocazione? (sorride) "Eppure l'arte riesce, in questo: a illuminarci, a volte anche di gioia".
Questo episodio da lei stessa ricordato mette in una particolare luce la sua grande passione, sin da giovane età,  per l'arte, e per tutto ciò che, dell'arte, e dall'arte, provoca emozione... una strada tracciata da tempo, la sua, senza tema di fuorviare, la strada che l'ha portata a dirigere la Biennale, quest'anno, con un piglio sicuro, senza esitazioni, che farà parlare molto, sia per l'acume dimostrato nella scelta delle opere, sia per le capacità di correlazione continua tra un'artista e un'altro artista, tra una idea e l'altra nel complesso articolarsi dei loro significati, all'interno della fenomenica artistica contemporanea.




 Jacopo Robusti, detto Tintoretto, "L'Ultima Cena", Venezia, Basilica di San Giorgio Maggiore


Le tre opere tintorettiane che hanno affascinato la curatrice della mostra veneziana sono riconducibili alle opere odierne nella  misura in cui la rappresentazione degli accadimenti riesce sottratta dalla sovrapposta presenza in esse di fenomeni paradossali, che descrivono fugaci frammenti di realtà nei quali subentrano fattori abnormi, irreali, e pieni di suspance. In esse l'azione delle figure protagoniste emerge in teatralissime circostanze, nel corso delle quali il loro semplice avverarsi si sovrappongono gli avvenimenti soprannaturali, proposti alla fruizione in termini troppo scandalosi, inconcepibili, e assurdi, per non essere con qualche ironia esposti al giudizio del pubblico. Ed è così che le sublimi, gigantesche tele classiche divengono il viatico per tentare di penetrare l'indecifrabilità del contemporaneo, fatto di oggettivazioni nelle quali è sempre latente il paradosso o l'ironia, l'artificio e la metafora la cui luce si sprigiona solo e unicamente dal rendersi riconoscibile avventura dello spirito critico, ed ancor più spesso dissacrante dell'artista, mentre hitchcockianamente svolazzano e smerdacchiano ovunque gli uccellacci di Cattelan.

Nel mondo dell'arte Bice Curiger è conosciuta soprattutto per aver fondato una rivista di settore sofisticata come "Parkett", creata insieme a un'altra donna, Jacqueline Burkhardt, nel 1984. E di donne artiste la Curiger si è sempre occupata, a partire dal primo libro su Georgia O' Keeffe, o la biografia su Méret Oppenheim. Donne, allora, anche alla Biennale di quest'anno? Chi c'è quest'anno? La Curiger risponde: "Ci sarà Cindy Sherman (fotografa e artista americana, conosciuta per i suoi "auto-ritratti" concettuali), con un "wallpaper", un'inedita carta da parati. Sa che cosa trovo straordinario della Sherman? Che ha saputo reinventarsi. Alla fine degli anni Ottanta di lei dicevano: ha già fatto tutto.... e invece...". "La Biennale quest'anno è stata ferrea: niente dettagli e niente foto prima della vernice."  Donanda: "Ma ci dia un'altra anticipazione, un'altra donna artista che incontreremo... ": "Pipilotti Risi". Pipilotti Risi, videoartista, svizzera anche lei: di recente è stata chiamata dall'archistar Jean Nouvel per il nuovo albergo Sofitel a Vienna. E il suo soffitto decorato e ipercolorato, del ristorante all'ultimo piano, è diventato un nuovo "Landmark" della città, visibile anche da lontano". Domanda: "Le è piaciuto?": "Mi piace il lavoro di Pipilotti Risi, e la seguo da tempo. Per la Biennale ha fatto copiare, in Cina, tre opere della scuola del Canaletto, e ci ha "lavorato", con immagini e video. E' quello che vedete ora nella mostra". Copiare un maestro del passato e reinterpretarlo: una provocazione?"



 "Questo non è un gioco", opera di Lorenzo Quinn, esposta in Biennale
  
Dice Lorenzo Quinn: “Nell’osservare mio figlio che giocava sulla terrazza con dei soldatini e un carro armato di plastica, mi sono reso conto che i bambini cercano di emulare ciò che vedono nella vita quotidiana e che, purtroppo, le immagini di carri armati e di soldati dominano i mezzi di informazione, sono una presenza fin troppo comune."
"La guerra è diventata paurosamente familiare e quasi lascia indifferente chi non vi è coinvolto e la può guardare dal comfort del proprio salotto.
Vedo i leader mondiali usare i loro eserciti come fossero giocattoli che possono manovrare e distruggere con la stessa noncuranza di un ragazzino. Ma questo non è un gioco, queste sono persone vere e vere armi, e il risultato è tutt’altro che un gioco.”
Figura d’artista che negli ultimi vent’anni espone in tutto il mondo ed è presente in molte collezioni private, Lorenzo Quinn non poteva che “inchiodare” con abile maestria la città d’arte per eccellenza, facendola sentire confusa e “imbarazzata” dall’arrivo del suo “non gioco da guerra” che, tenuto sospeso in mare con leggerezza da una mano, ci invita a non dimenticare il dolore passato per evitarlo in futuro. Di dimensioni e colori reali, il site specific che Quinn presenterà alla prossima Biennale è quasi “indisponente” quando ci costringe a pensare, e suscita nodi in gola a chiunque accetti di soffermarsi a guardare e sentire… Io l’ho fatto e l’ho provato, e sono qui a presentare con onore chi è riuscito attraverso l’arte a fermare per un attimo la mia corsa contro il tempo : Lorenzo e il suo realismo simbolico.


Gli artisti che più hanno fatto breccia nell'interesse della curatrice sono perciò quelli che irrompono nel paradosso in modo immediato e soverchiante, se si può dire in modo perfino più elegante e nitido di quanto non avvenisse in passato, così da rinnovare il piacere, che talvolta s'era perso, di trascorrere con essi del tempo, mentre ci si aggira tra i padiglioni: Cindy Sherman, Franz West, Sigmar Polke, Fernando Pratz, sono i più in vista anche per averne la curatrice parlato a  lungo nel corso delle sue interviste. ma anche Yto Barrada, in arrivo dal Marocco, la cinese Son Dong,  Christian Marclay, Urs Fischer, Monica Bonvicini.


 
Sopra e sotto: Fernando Pratz, padiglione cileno. La struttura dell'artista è costituita da tre opere: un intervento sull’impatto dell’eruzione vulcanica a Chaiten (2008); varie parti che si riferiscono al terremoto che ha colpito le zone del centro sud del Cile (2010); e un’installazione con lettere al neon che riproduce l’annuncio che l’esploratore irlandese Ernest Shackleton avrebbe pubblicato, intorno al 1911, per reclutare uomini per la sua spedizione nell’Antartico. Prats produce immagini iniziando dal fumo, mediante il quale riesce a sedimentare fenomeni naturali quali l’acqua espulsa da un geiser o la superficie di un immenso ghiacciaio. La sua tecnica è stata notata da personaggi del calibro del teorico francese Paul Ardenne che da poco ha incluso l’opera di Fernando Prats nell’attuale esposizione presso lo Spazio Louis Vuitton di Parigi, elogiandolo per aver dato inizio a “una forma inedita di pittura”.









Cindy Sherman: "Untitled 2010" (Foto Andrea Pattaro/Vision)
Untitled (2010) from Sherman’s latest work. After completing a ­series, Sherman says she often feels she never wants to take another photo. "I’m just like, forget it, I don’t want to put on any more make-up again, I’m so sick of those wigs, so sick of it all." 
(Photograph: Courtesy Sprüth Magers Berlin London and Metro Pictures).




Sei opere di recente produzione di Allora e Galzadilla con il supporto del Museo d’Indianapolis, hanno trasformato il padiglione Americano in uno spazio dinamico e interattivo, assegnando un titolo eloquente “GLORIA”. Nome femminile italiano e spagnolo, armonioso, con evidenti riferimenti religiosi, economici, culturali, sportivi, di grandezza e forte identità nazionale.
Sarà sicuramente Track and Field a rubare la scena, a rendere ancora più visibile questa invasione culturale pacifica e creativa. Un carro armato capovolto di sessanta tonnellate sormontato da un tapis roulan, dove l’atleta corre ad intervalli regolari durante l’esposizione. Sarà una metafora di pace od una mera allusione alle possibili olimpiadi di Roma del 2020? 




"Signora serenissima", "I’m a Lady", un’opera di Mary Sibande, esposta nel Padiglione del Sud­africa alla Biennale di Venezia.


Totalmente diversa l'impostazione che Vittorio Sgarbi ha dato al Padiglione Italiano, del quale è stato curatore. Titolo polemico della mostra: "L'arte non è cosa nostra". Di opere in mostra ce ne sono 260, che è un numero impressionante. Esse sono state scelte con cura, ma la loro distribuzione nello spazio, come fossero affastellate una sull'altra, messe in ogni dove, sopra e sotto, ai mujri o appoggiate al pavimento, in mezzo alle sale una contra l'altra, vedendone anche il retro, appese ai sofitti, le fa sembrare lì per caso. La scelta di Sgarbi è stata quella di rappresentare uno spazio residuale, quasi si trattasse di un magazzino con oggetti alla rinfusa, una sorta di mercato spontaneo, una fiera. Non vi sono solo tele, ma anche sculture e fotografie, ove capita di imbattersi, quasi fossimo in un circo,  con artisti al posto degli animali, perfino in un cagnolino, dipinto con scarpette rosa, portato dall'attrice Adriana Asti.



"Kopflosi" (senza testa), l'opera di Ivan Landschnaider, giovane artista altoatesino che ha scelto temi relativi alla massificazione, da presentare e per presentarsi all’interno del padiglione della Repubblica araba siriana, sull’isola di San Servolo, alla 54esima Biennale internazionale d’arte di Venezia. Come lui spiega la massificazione è "spersonalizzazione spirituale e morale dell’individuo come diretta conseguenza della civiltà dei consumi"



Vi si trovano ritratti anche di Sgarbi, e poi di Berlusconi, vi si trova di tutto, un po' di sesso anche qua e là che non guasta mai, installazioni, scarabocchi, paesaggi, opere dal gusto naif. Gli artisti, molti mai sentiti, alcuni già noti coi quali Sgarbi lavora da tempo, quali Stefano Di Stasio, Lino Frongia, ("il più grande pittore antico vivente"), Aurelio Bulzatti, Rolando Gandolfi Gandolfi e il fotografo Antonio Biasiucci.
A pensarci bene però, quella di Sgarbi potrebbe essere solo un’operazione commemorativa, anche perché il celebre critico/storico ha dichiarato di voler celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia con le sue scelte diffuse. Così il 2009 è stato l’anno di commemorazione del futurismo è quest’anno quello dell’unità d’Italia, tra due anni si potrebbe parlare di un bell’omaggio a Giuseppe Garibaldi e perché no anche uno a Guglielmo Marconi.




"You too can be in the Biennale, anche tu poi essere in Biennale". Con questo (non volutamente) ironico titolo "The Art Newspaper" fotografa in pieno lo spirito di questa Biennale di Venezia 2011 quando vi si parla di Vittorio Sgarbi. Lo stimato magazine d’arte parla di 1.200 artisti in totale di cui oltre 200 saranno presenti all’interno del Padiglione Italia. Sempre secondo The Art Newspaper,  il Vittorio Sgarbi ha mirato ad inserire all’interno della manifestazione "tutti gli artisti attivi nell’ultima decade", con un particolare accento su coloro i quali sono stati dimenticati o comunque poco conosciuti.


Venezia Arte,  si apre la Biennale con i 200 piccioni tassidermizzati di Maurizio Cattelan, sparsi un po' ovunque in mezzo alle opere degli altri artisti, sul frontone esterno d'ingresso, sulle travi e sui cornicioni interni








Dieci sculture di Vanessa Beecroft realizzate negli Studi Nicoli hanno uno spazio particolare alla Biennale di Venezia. Le ha scelte Vittorio Sgarbi, curatore del "Padiglione Italia" 2011.
Dieci sculture plasmate in rarissimi marmi colorati e bianchi, frutto di calchi alle giovani modelle nude, che nel settembre 2010 dettero vita ai "tableaux vivants" all'interno degli ottocenteschi laboratori Nicoli. È la prima volta che Vanessa Beecroft nel corso della sua vita artistica si dedica alla scultura, tralasciando le sue famose e costosissime "performance" fotografiche. Sgarbi è rimasto affascinato dalla catasta femminile di marmi speciali, perfettamente rifiniti dalle maestranze dei Nicoli. "La performance della Beecroft si pietrifica - ha scritto in un testo critico Francesca Nicoli - verso un antico e moderno concetto di scultura classica. Sono più di 30 anni che l'opera in marmo non compariva in Biennale - ha detto ancora la manager -, solo Vittorio Sgarbi poteva dare loro la giusta dignità, mettendole sotto la didascalia che è anche il titolo della sua Biennale: "L'arte non è cosa nostra"». 


Andare in Biennale d'Arte, crediamo sia sempre un tuffo utile nel senso del gioco, ovvero nella stessa linfa della vita, perchè assumiamo da ciò che di più matto fanno altre persone, mentre agiscono senza limiti, un'idea di libertà, ma soprattutto di questa l'estremo e variopinto assieme delle sue possibili varianti, espresse con il solo limite di proporre senza imporre. E' magico, e corroborante. Un piacere da non togliersi, sapendo che in questo spazio tutto è lecito, tranne che: "Ma che cazzo vuole dire?"

Venezia, 4 giugno 2011

Enrico Mercatali
per TACCUINI INTERNAZIONALI




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