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19 March 2011

Cielo infinito

Arnaldo Pomodoro, 1973, modello del progetto per il nuovo Cimitero di Urbino.
Umanissimo e suggestivo concept, di grande attualità iconografica.
Apriamo questo articolo con una immagine di tanti anni fa che ci aveva affascinato...


 "Cielo-infinito: il cimitero del futuro"

Milano propone un diverso concept architettonico per la cultura del ricordo

Cielo infinito, odierna proposta per inumazioni "d'avanguardia!",
un'idea che, francamente, non solo ci lascia perplessi, ma che davvero ci disturba!


Quale preferite? Tra i due opposti concepts architettonici, che danno forma anche a modi diversi di intendere l'idea del sito cimiteriale, e le rispettive iconografie di riferimento, quale vi appare la più adeguata al comune e diffuso modo di sentire? Quale, capace di relazionarsi alle tradizioni? E quale alle necessità future? 
Questo edificio multipiano,  qui sopra, oppure quella rappresentata dal modellino in bronzo sopra al titolo? 
Questa, in forma di grattacielo è la nuova proposta "Cielo infinito", presentata a Milano per la città del futuro. Quella sopra al titolo, "Il Cimitero sepolto" è stata avanzata da Arnaldo Pomodoro per la città di Urbino nel 1973. 

Dice un comunicato stampa, a proposito di "Cielo infinito": "Il naturale e progressivo invecchiamento della popolazione, gli spazi disponibili sempre più ridotti, le nuove abitudini e gli attuali stili di vita, rendono necessarie nuove soluzioni per affrontare il tema delicato ed importante come il culto dei defunti. Grandi aree da dedicare a spazi cimiteriali possono infatti risultare non solo difficili da reperire ma anche scomode, antieconomiche e poco fruibili da anziani e disabili", argomenti questi che ci sembrano tutti appartenenti a logiche economiciste e funzionaliste, poco attinenti al tema in questione, che andrebbe affrontato a partire, prima e soprattutto, da più profonde considerazioni, che attengono alla sfera trascendente.


Per un milanese doc come me, che vive solo da un paio d'anni altrove dopo aver vissuto tutta la vita nella sua città d'origine,  ogni ritorno in essa diventa motivo di tormento. E' da qualche anno infatti che mi sono reso conto che la città esprime la sua "milanesità" in modo anormale, incapace di esprimere nel nuovo che essa stessa sta creando il suo essere tipico,  slegandosi dalla sua tradizione, dal suo spirito, dalla sua più autentica anima. Molte cose nuove vi si stanno realizzando, molti grandi lavori ne stanno modificando il volto, ma in esse sembra non esserci più storia, e quindi neppure vero futuro, un futuro certo al quale sentirci legati, anche come parte attiva di esso. Non c'è stata scelta, infatti, compiuta da dieci, quindici, anni a questa parte, che riguardi le grandi opere che ne stanno modificando il volto, intraprese da privati o dal pubblico, che possa dirsi davvero generata da quello spirito  che per oltre cinquant'anni aveva connotato la sua cultura, il suo linguaggio, ogni tratto della sua espressione, se non forse solo per quella felice parentesi che è stata la creazione del  Museo Novecento, peraltro frutto esso stesso di progetti dprovenienti da molto lontano. 

Arnaldo Pomodoro, 1973: Proposta progettuale per un cimitero ad Urbino, dal titolo "Cimitero sepolto"



Negli ultimi anni il volto della città è stato, diciamolo pure, stravolto da progetti che sembrano essere stati calati dall'alto, privi del necessario confronto con la città, e la sua opinione pubblica, e i nuovi cantieri ne hanno modificato pia piano la fisionomia senza saperla sostituire generando passioni come un tempo erano stati capaci di fare, a partire dalla stessa città nuova, quella che usciva dai travagli delle occupazioni straniere, e che si avviava, prima alla magnificienza civile della repubblica cisalpina, e poi all'avvento del dominio borghese: valgano qui gli esempi storici del Foro Bonaparte (sia pure nella sua versione post napoleonica, meno fantastica e grandiosa di quella del Foro Antolini), oppure l'esempio del Nuovo Terminal Ferroviario Centrale del 1906, anno della Esposizione Internazionale di Milano, che segna esso stesso l'avvio della grande industrializzazione della città e il suo essere al centro degli scambi nazionali ed internazionali, oppure ancora delle icone milanesi del dopoguerra, ovvero la Torre Velasca dei BBPR, e il grattacielo Pirelli, dell'equipe di Giò Ponti, entrambi costruite tra il 1956 e il 1958, che hanno segnato invece l'avvio del boom economico del dopoguerra, simboli entrambe di una città che si dà al futuro con l'entusiasmo d'avere basi civili ed etiche ben fondate e orientate.


"Cielo infinito", il rendering del progetto mette in risalto il tempio vetrato che determina il  culmine dell'edificio multipiano che costituisce la parte costruttivamente e simbolicamente determinante della proposta per una nuova tipologia cimiteriale. Si dice in una brochure presente alla mostra milanese: "La verticalizzazione sembra incarnare l'idea dell'ascesa verso il cielo e nello stesso tempo costituirebbe la risoluzione al problema della qualità e quantità della superfici disponibili". Così la simbologia dell'ascendere al cielo dissimula la stringente logica funzionalista che sta alla base del progetto. Si dice anche: "Il progetto permette l'ottimizzazione degli spazi e una sostanziale diminuzione dei costi di mercato e dei tempi d'attesa". Se tutto si riduce a questo tipo di argomantazione è chiaro che, per buona pace dei costruttori, la città del futuro non sarà rappresentata che da una serie infinita di torri in acciaio e vetro, e, ai cittadini, non resterà forse che... morire"


 Tra le diverse realizzazioni in corso d'esecuzione che spiccano invece oggi, per dimensione e visibilità mediatica, ricordiamo il quartiere Santa Giulia, per il quale è stato chiamato nientemeno che l'inglese Norman Foster, finito in disgrazia assieme al suo committente-costruttore per gli erronei piani economico finanziari di quest'ultimo, lasciando peraltro in difficoltà tutti coloro che in esso avevano creduto e che avevano deciso di andarvicisi ad insediare. Ricordiamo, il Nuovo Museo della Moda con il relativo centro uffici al Garibaldi, firmato dall'americano Cesar Pelli; ricordiamo la grande area residenziale centrale, ove sorgeva la vecchia Fiera Campionaria, realizzata dall'archistar iraniana Zaha Hadid, che, assieme ai tre grattacieli che tanto hanno fatto discutere circa il loro a dir poco inconsueto skyline, costituisce una vera "bomba" in quanto incremento della capacità insediativa della città, per l'alta volumetria che propone, ora in fase avanzatissima di realizzazione. Ricordiamo poi non secondariamente, per i forti impatti volumetrici e visivi dentra alla città, il nuovo grattacielo sede della Regione Lombardia, presso l'area Garibaldi-Repubblica, nonchè le gigantesche edificazioni su quest'ultima area, presso la Stazione Garibaldi, che vanno enormemente ad incrementare l'impatto che il settore terziario assegnerà all'immagine della città, ormai non più riconoscibile se non per vedervi insediata l'anonima folla d'una classe totalmente dedita al businnes e ai suoi riti, poco interessata a possedere un legame forte con la "civitas" che vada al di là del suo puro esprimersi in termini di "forza economica".


Ecco l'atrio di ingresso di "Cielo infinito": sembra la hall di un grande albergo, di un grande museo; tutto ormai vi è indifferenziato: in ultima istanza, la vita come la morte, il che, peraltro, non sembra essere cosa errata in sè, ma qui appiattita su di una iconografia appiattente.


 L'ultima trovata, che ci fa capire quanto questa città (dalle sue componenti affaristico finanziarie a quelle amministrative) sia oggi interessata più ad aprire sempre più larghe strade ai suoi grandi costruttori, peraltro specializzati in grattacieli (tipologia poco impegnativa in termini di risorse nuove anche in termini di ricerca), piuttosto che alle componenti più creative e culturalmente profonde della nostra comunità. Abbiamo fatto questa scoperta passando per caso in centro, promossa dall'Urban Center di Galleria Vittorio Emanuele, ed è stata chiamata "Cielo infinito, il cimitero del futuro. Un nuovo concept architettonico per la cultura del ricordo".

In assenza di aree, infatti, l'Amministrazione cittadina di uno dei comuni italiani più piccoli in rapporto al numero dei suoi abitanti (numero che, tra l'altro, si vorebbe programmare col nuovo Piano Territoriale con un incremento di più di 500.000 unità), pensa di avviare la costruzione dei nuovi cimiteri di cui la città avrà bisogno nell'immediato futuro in forma di grattacieli, riproducendo, per la "Città dei Morti" esattamente lo schema tipologico che essa sta proponendo per ogni altra funzione insediativa,  residenziale o terziaria che sia, ammantando questa operazione come fosse frutto d'una originale quanto moderna soluzione, al di là d'ogni altra considerazione, di carattere filosofico e sociale che si voglia o si possa fare.


Il tempio proiettato verso il "Cielo"

Noi siamo rimasti letteralmente allibiti da tanto superficiale approccio a tale questione, che certamente si apre a fronte di una reale problematicità realizzativa, quando, molto semplicemente, constatiamo che una soluzione siffatta non è mai comparsa sulla faccia della terra, in alcuna cultura ed in nessun contesto umano, perchè, obbiettivamente trattasi di un clamoroso errore, sia in termini di valutazione complessiva che non sia puramente economicistica, che in termini di ragionevole esegesi delle esigenze più profonde della persona e del suo legame con il tema della morte.

Non che tale proposta debba essere preclusa alla discussione comune, od osteggiata per pura partigianeria. Noi ci limitiamo ad esprimere tutto il nostro sconcerto, nell'esaminarla, portando, esemplificativamente e a confronto, un paio di esempi bellissimi di moderni progetti di siti cimiteriali, evocando, qualora questi che citiamo apparissero, ad alcuni sostenitori di questa soluzione, esempi poco curanti degli aspetti quantitativi necessari ai grandi numeri che una città come Milano esprime, la possibilità di fare nostra una ipotesi totalmente ribaltata, rispetto a quella qui presentata, del perseguimento di  un concept analogo in tutto, se vogliamo, ma totalmente ipogeo, come ci suggerisce non solo l'istinto, ma anche la logica ed il supporto storico. Ci basterebbe considerare questo: il sito della memoria ha ragione d'essere visibile e presente a chi ne senta il bisogno, in determinati momenti della propria vita, ma non crediamo si debba imporlo, alla vista di tutti ed ovunque, come in questo caso accadrebbe, e come, questo sì, in talune antiche civiltà è stato.

Diamo pertanto aria e luce ai vivi, che non sempre ne hanno a sufficienza, e diamo ai nostri morti una sepoltura "terrena", e più umana.

  
Arnaldo Pomodoro,  1969  Cimitero Monumentale di Milano, Famiglia Goglio. L'iconografia già proposta ad Urbino, ritorna in questa tomba con convinta determinazione. Una sepoltura vi si propone che penetri nella terra, pur aprendosi in profonde fenditure alla luce del sole, mediante geologici, naturali e millenari segni d'una struttura ancora capace di mistero, trascendenza ed ineluttabile destino.


Enrico Mercatali
Milano, marzo 2011




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